lunedì 3 luglio 2017

PORTO FRANCO DI TRIESTE? QUALCUNO NON LA RACCONTA GIUSTA!!




PORTO FRANCO DI TRIESTE?


"QUALCUNO"
 

NON LA RACCONTA GIUSTA!



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FURLANI NO XE’ PER BARCA.
 

MA GREGHI NO XE’ PER FABRICA



di Giorgio Cavallo



Quaranta anni fa, negli anni 70, Trieste si ribellò al Trattato di Osimo a causa della previsione di una “zona franca industriale” nell’area carsica di confine tra Italia e Jugoslavia. Alcune anime belle diedero dignità alla opposizione in nome della difesa dell’ambiente e contro il relativo consumo di suolo. Ma l’elemento scatenante della ribellione fu il terrore che stuoli di balcanici, serbi, bosniaci, macedoni, invece di limitarsi a comprare jeans a Ponterosso, venissero ad invadere Trieste e a determinarne uno sconvolgimento etnico.

Mercoledì 28 giugno il ministro Del Rio ha formalizzato e rilanciato i “punti franchi” del Porto di Trieste, inclusa la possibilità di spostamento in altre aree del territorio. Nella presentazione della iniziativa si è posto l’accento, anche da parte dell’Autorità Portuale, sul significato attuale dei “punti franchi”, mettendo in evidenza la possibilità che lì si facciano lavorazioni e trasformazioni delle merci in transito per il porto, dando così l’avvio di molte nuove attività produttive.

Più prosaicamente l’idea immaginifica vincente negli show pubblicitari di presentazione è stata questa: il Porto di Trieste diventa il terminale privilegiato della nuova “via della seta”, con prodotti semilavorati che arrivano dall’Oriente, vengono manipolati sulla base delle diverse tendenze del mercato europeo, e poi ripartono per la loro destinazione finale di mercato. Un po’ meno propagandata appare l’opzione inversa, dall’Europa alla Cina.

Ho l’impressione che non me la contino giusta. I “punti franchi” di questo tipo non mi pare siano più di moda e le merci quanto meno stanno in porto meglio è. La tecnologia dei container insegna. Certi prodotti come il caffè possono ancora essere immagazzinati e ridistribuiti con graduazione, anche le banane forse, ma non è questo quello di cui stiamo parlando. E non è più il tempo in cui gli alabastri prodotti a Volterra vengono stoccati con catalogo nel porto di Trieste per essere poi venduti e spediti in tutto il mondo, come avveniva a fine 800.

Va detto per il vero che oggi le trasformazioni industriali stanno percorrendo strade nuove, siamo nell’epoca di Industry 4.0 sia per le lavorazioni che per i prodotti, e che quindi, diversamente dagli anni 70, siamo al riparo da invasioni di serbi, macedoni e bosniaci. Meno sicuro sono del fatto che l’espansione e l’attivazione dei “punti franchi” non possa riguardare una miriade di operazioni finanziarie con tutte le potenzialità, lecite ed illecite connesse. E questa è una vera chance per Trieste che in passato non si è mai potuta concretizzare.

La questione di fondo però è un’altra. L’asse identificato nelle celebrazioni su porto e cantieristica diventa il riferimento principale del sistema produttivo ed economico regionale, dettandone in sostanza le gerarchie di coinvolgimento dei territori e definendone i poteri dirigenti.

Ne va peraltro dimenticata la presenza a Trieste del polo assicurativo delle Generali, a cui stendere tappeti rossi affinché non se ne vada riducendo drasticamente le entrate erariali della Regione. Da qui, oltre al brand “Trieste Airport”, anche la priorità data alla velocizzazione della ferrovia Venezia - Trieste per meglio servire il business management delle Generali stesse. E relegando così la Udine - Treviso - Venezia, con la sua preponderante utenza, ad un futuro molto lontano.

Il pilastro della cantieristica Fincantieri, con il suo successo industriale e la sua fortunata pervasività territoriale nel campo della subfornitura, comincia a dettare i tempi e i modi della politica industriale. Il presidente Bono è oggi il depositario di quello che è il maggior successo industriale italiano in un campo complesso in cui il lavoro operaio è ancora un fattore determinante. Questo successo è determinato da capacità di progettazione, apertura ad ogni innovazione, ed una elasticità produttiva che permette di produrre il “meglio” al “prezzo più basso”. Invece di decentrare la produzione in luoghi a basso costo del lavoro, è meglio portare gli stessi lavoratori vicino al cantiere ed utilizzarli secondo necessità ed a prezzi variabili rispetto alla tradizionale stabilità operaia. Per tutto ciò che può essere esternalizzato c’è un territorio di forte tradizione artigiana in grado di connettersi alle esigenze dei grandi contratti delle navi vacanza.

Lo schema di Bono è vincente e potrà probabilmente trovare spazio di espansione anche con Industry 4.0. Ma prendiamolo nella sua necessità e particolarità, non come modello per il futuro. Se non altro per i costi sociali che determina.

E veniamo ai “greghi”. La logistica portuale che trecento anni fa ha iniziato ad illuminare Trieste può essere un faro per il futuro, ma il suo cono è tutto da verificare. Di quale logistica parliamo e come questa logistica portuale si connette con le gerarchie del territorio regionale?

Trieste soffre del complesso di Maria Teresa. Si aspetta sempre una decisione politica che ne determini il futuro. Ma oggi non può essere più così.

Ci sono due visioni logistiche che riguardano l’ambito geografico del F-VG. Una è quella degli scambi tra l’Italia, l’est europeo e parte dell’Europa centrale, di riferimento prettamente autostradale e speriamo nel futuro anche ferroviario. L’altra è quella proposta dalla portualità triestina come snodo nord-sud, di fatto estero per estero, che cerca di farsi strada su un possibile mercato dove ci sono forti concorrenze non superabili da una decisione politica.

La logistica prevalente di terra, est-ovest e sud ovest-nord, è la sfiga-opportunità storica che ha coinvolto il Friuli, e non solo per le opportunità dei commerci. Lungo la catena della logistica di terra si è da sempre sviluppata anche l’imprenditorialità del Friuli che ne ha colto alcune occasioni, e che, eventualmente può anche avvalersi della portualità disponibile, ma non ne è dipendente.

Qui nasce lo scontro di potere in atto, in cui un manipolo di manager e politici tenta di imporre una visione falsa della realtà, allo scopo credo, tutto sommato non criminoso, di canalizzare alcune risorse ed imporsi come gruppo dirigente. Non si tratta di nulla di nuovo. Porto di Trieste, Generali e Fincantieri con le teste di cuoio dei “contractors” pordenonesi, sono in azione ma agiscono grazie alla debolezza di rappresentanza del territorio ed alla subornazione di altri deboli poteri politici.

Non ci vorrebbe molto per riequilibrare le idee e far capire quali spazi e relazioni sono più utili agli interessi generali ed alla dimensione geografica effettiva del Friuli e di Trieste.

Giorgio Cavallo 29 giugno 2017

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L'analisi di Giorgio Cavallo è stata pubblicata sul quotidiano IL MESSAGGERO VENETO (Udine) lunedì 3 luglio 2017 a pagina 22 con il titolo “La change di Trieste e la paura del Friuli di finire nell'angolo”.

La Redazione del Blog ringrazia Giorgio Cavallo per averle concesso la pubblicazione della sua ottima e precisa analisi economica/politica che svela  i retroscena politici  dello “show pubblicitario” di presentazione del rilancio dei “punti franchi” del Porto di Trieste.
 
Grazie Giorgio! Illuminante la tua analisi!

La Redazione del Blog
 

7 commenti:

  1. "FURLANI NO XE’ PER BARCA."
    MA GREGHI NO XE’ PER FABRICA

    è il titolo che Giorgio Cavallo ha dato al suo documento; titolo che ovviamente noi abbiamo mantenuto.

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  2. Ovviamente allo “show pubblicitario” di presentazione del rilancio dei “punti franchi” del Porto di Trieste.... applaudono tutti i politici friulani che non hanno mai mosso un dito per il Friuli....

    Che sia il caso di mandarli a casa?

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  3. E che dire poi della stampa locale e nazionale che fa da eco a questo show pubblicitario? I giornalisti si informano o si limitano a pubblicare le veline del porto di Trieste e dei potentati politici di supporto a questa operazione pubblicitaria?

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  4. C'è qualche partito italiano che non sia triestinocentrico e non ignori la VERA realtà regionale?

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  5. Cos'è un "PUNTO FRANCO"?

    E' quella zona del porto RECINTATA E VIGILATA (non si entra e non si esce liberamente!) considerata extra-dogana.

    Ossia un punto del porto in cui i prodotti semi-lavorati o le materie prime vengono sbarcate e poi lavorate o messe in magazzino in attesa poi di essere sdoganate al momento opportuno.

    Come escono dal punto franco questi prodotti lavorati o stoccati nei magazzini?
    1) vengono reimbarcate sulle navi e pagheranno la dogana nel porto di destinazione
    2) VIA TERRA vengono caricati su TIR sigillati e portati a destinazione dove pagheranno i dazi doganali.

    Quale il vantaggio? Per lo Stato e la regione....nessuno, visto che non vengono pagati i dazi doganali e neppure l'IVA. Per gli operatori il vantaggio di trasformare le materie prime senza pagare l'IVA o altri dazi...

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  6. Ma cosa stabilisce il decreto Del Rio sul porto franco di Trieste?

    Ci sono tante interpretazioni...

    Da quello che si riesce a capire (assai poco!!), il ritardo di 60 giorni sul pagamento delle tasse doganali, riguarda la tassazione da pagare nel momento in cui le merci (trasformate o stoccate nei magazzini del PUNTO FRANCO) escono dal punto franco e entrano in territorio italiano: a questo punto ci sarebbe un’ulteriore agevolazione fiscale a favore esclusivo del Porto di Trieste, ossia il ritardato pagamento di 60 giorni sul pagamento delle “ovvie” tasse doganali, nel mentre in altri porti italiani dove c’è il porto franco (esempio a Marghera – Venezia), il ritardato pagamento o non c’è affatto o è minore in termini di giorni. Dunque un chiaro AIUTO DI STATO perchè il ritardato pagamento si risolve per lo Stato italiano e anche – in caduta - per la regione (che incassa una percentuale dell’IVA in quanto a statuto speciale) in una MINORE entrata fiscale incassando l’IVA con 60 giorni di ritardo, oltre che in una forma di concorrenza sleale nei confronti degli altri porti italiani.

    Il problema centrale è però la pesantissima situazione che subirà l’intero Friuli destrutturato in 17 UTI e totalmente privo di potere politico. Spieghiamo il perché:

    1)- perchè i finanziamenti regionali saranno indirizzati soprattutto verso il Porto di Trieste definanziando il Friuli stesso in quanto la coperta non cambia ed è corta. Ieri sera - 5 luglio 2017 - al telegiornale regionale delle 19.30 è stata data la notizia che la REGIONE finanzierà l’ACQUISTO di una vastissima zona sul Carso triestino da adibire a PUNTO FRANCO del porto di Trieste..... ovviamente il tutto - come sempre - a vantaggio dell’intera regione (SIC!SIC!). E questo è solo l’inizio di un esborso spaventoso di denaro pubblico regionale a favore del solo territorio triestino. Esborso pubblico regionale che danneggerà il Friuli che non troverà fondi per il SUO sviluppo!!

    2) perchè la struttura industriale friulana dovrà subire la “concorrenza sleale” (DUMPING) dei punti franchi del porto di Trieste: e meno male che continuano a straparlare di UNITA’ REGIONALE e che solo uniti si può avere sviluppo economico.

    Stanno cercando di far “deglutire” al Friuli un dumpig spaventoso a favore ESCLUSIVO di Trieste. Già abbiamo dovuto tollerare un fondo per Trieste principesco (al 2006 il suo valore attuale era di ben 6.200 MILIARDI DI LIRE), più altre agevolazioni come 5 pieni di benzina quasi gratis per ogni auto circolante in provincia di Trieste, INCLUSE LE AUTO AZIENDALI.

    Restiamo comunque in attesa di avere informazioni certe e non SHOW PUBBLICITARI....

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  7. E l'Unione europea che ne dice? Il porto di Trieste è incluso dall'Unione europea tra i porti OBBLIGATI a rispettare il regolamento doganale europeo e ci risulta che il decreto ministeriale Del Rio a favore di Trieste non lo rispetti....

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