sabato 23 luglio 2016

REGIONE FRIULI-VG: PROVINCE ADDIO!


REGIONE FRIULI-VG

PROVINCE ADDIO!

CANCELLATO IL FRIULI

frantumato in 17 UTI!!!

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Da un articolo a firma di

Sergio Bartole

pubblicato sul quotidiano
Il Piccolo (Trieste)
(mercoledì 20 luglio 2016 – pag.17)
 
L’abolizione delle province serve a semplificare la selva di campanili che affolla la regione.

di Sergio Bartole

“(…) alla soppressione delle Province che è uno dei più importanti elementi di innovazione della riforma dello Statuto (…). Si dice che tale misura è volta al contenimento delle spese della politica. E’ un'affermazione dettata dalla volontà di blandire il consenso degli elettori, distogliendo la loro attenzione dalla sola considerazione della circostanza che l’eliminazione delle Province è anzitutto un fattore di semplificazione della selva di campanili che caratterizza il nostro governo locale (…) con vantaggio per il disegno unitario che la Regione è chiamata a perseguire e senza le remore indotte da velleitarie contrapposizioni. (…)”.

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COMMENTO
della Redazione del Blog

1) Scrive il triestino Sergio Bartole sul quotidiano “Il Piccolo” di Trieste:la eliminazione delle Province è anzitutto un fattore di semplificazione della selva di campanili che caratterizza il nostro governo locale (…) con vantaggio per il disegno unitario che la Regione è chiamata a perseguire (…)”.


Ossia di campanili in Regione ne basta uno solo, “quello di San Giusto (Trieste)”?
 
Pare proprio di Sì, considerato che con la riforma regionale degli enti locali (L.r. 26 del 2014) i Comuni - ente  previsto dalla Costituzione italiana  che ne garantisce anche l'autonomia - sono stati svuotati di autonomia, competenze e funzioni e le città di Udine, Pordenone e Gorizia, private del ruolo di capoluogo di Provincia, ora sono prive di qualsiasi ruolo istituzionale nel mentre Trieste mantiene l’importante ruolo di capoluogo di Regione (e tutto ciò in presenza di una contemporanea operazione politica di pesantissimo neo-centralismo regionale che vede protagonista la città di Trieste).
 
Il sogno a lungo perseguito dalla classe politica e intellettuale triestina, a cui Sergio Bartole ci risulta appartenere, di far diventare Trieste l’unica capitale della pluri-millenaria regione storica e geografica Friuli, anche se NULLA lega Trieste al Friuli, trova dunque piena attuazione grazie alla Giunta Serracchiani, ai politici Pd eletti in Friuli e ad una pessima riforma regionale degli enti locali, nel mentre il Friuli SPARISCE dalla scena istituzionale frantumato in 17 UTI.

2) Al posto di 4 Province la riforma regionale degli enti locali prevede ben 18 UTI, “associazioni intercomunali istituite per la gestione associata delle funzioni e competenze comunali”: dov’è la semplificazione di cui scrive nell’articolo a suo firma, il “triestinissimo” Sergio Bartole dal momento che i quattro enti di area vasta i cui costi politici erano i più bassi tra tutti gli enti locali sia a livello regionale che nazionale, sono stati sostituiti da ben 18 UTI dall’incertissimo futuro istituzionale e da economie di scala tutte da verificare? DICIOTTO non è maggiore di QUATTRO?

3) Perché la nostra Regione non può articolarsi come il Trentino – Alto Adige in due province autonome (Friuli e Trieste)? E perché la Giunta regionale, la maggioranza di Governo Pd in Consiglio regionale e la Presidente di Regione Debora Serracchiani hanno avuto paura della opinione dei cittadini e hanno RESPINTO la richiesta popolare di un Referendum propositivo per la istituzione – sempre nell’ambito di una regione unica – di due Province autonome (Trieste e Friuli) sotto il profilo amministrativo?
Non era questa forse una semplificazione ottimale per una regione nata con il grave PECCATO ORIGINALE  di aver voluto unire due realtà profondamente diverse come Friuli e Trieste?
Sicuramente è questa una semplificazione non gradita alla classe politica e intellettuale triestina, ma questo PECCATO ORIGINALE non può essere superato cancellando il Friuli (Province di Udine, Pordenone e Gorizia). Al contrario lo si supera positivamente solo riconoscendo la dualità regionale (Friuli e Trieste), rispettando l’identità linguistica, culturale e ambientale del Friuli stesso, nonché  il suo diritto a decidere autonomamente il suo futuro!
Rispetto di cui si è sempre dimostrato fino ad ora profondamente incapace il “campanile di San Giusto”, nel mentre ha sempre contemporaneamente preteso per sé assistenzialismo e incredibili privilegi.
Il dogma dell’unitarietà regionale fino ad ora è servito solo a colonizzare e cancellare il Friuli, anche grazie a non pochi politici eletti nelle Province di Udine, Pordenone e Gorizia!

Ma tutto questo Sergio Bartole, che tutela esclusivamente gli interessi della sua città, lo sa perfettamente!

 La Redazione del Blog
 
 
 

5 commenti:

  1. da Wikipedia:

    Sergio Bartole è stato professore di diritto regionale e di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Trieste fino al 1978. Dal 1978 al 1982 ha insegnato alla Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli studi di Pavia. Nel 1982 ha ripreso la cattedra di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Trieste, ove ha insegnato per quasi un trentennio. Ha tenuto la sua ultima lezione come professore in ruolo il 21 maggio 2008.
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  2. SPECIALI PER CASO
    di William Cisilino

    "Da qualche giorno si è sviluppato, sulla stampa e sul web, un interessante dibattito sulle ragioni, diacroniche e sincroniche, che stanno alla base della specialità regionale.

    Soffermiamoci sulle prime. Da un lato si dice che “l’avvento della specialità era legato al ritorno di Trieste all’Italia”; dall’altro si enfatizza di molto il ruolo svolto dalla presenza di minoranze linguistiche. Chi ha ragione?

    Parafrasando il prof. SERGIO BARTOLE (sostenitore, sul “Piccolo”, della prima tesi), direi che entrambe sono due AFFASCINANTI ANTICHE FAVOLE".

    Il tema è lungo e complesso, pertanto mi si perdoni se procederò per punti.

    1) Nei primi mesi della Costituente non era per nulla chiaro quali e quante sarebbero state le Regioni. Per il Friuli c’era il concreto rischio di costituire semplicemente la provincia più orientale del Veneto. Trieste era “tra color che son sospesi” e vi sarebbe rimasta sino al 1954.

    2) A fronte di tale situazione, gli autonomisti friulani – in testa Tessitori e D’Aronco – incominciarono un’importante azione finalizzata al riconoscimento della “Regione Friuli”. Fra le tante iniziative, ricordo la stampa del volume “La Regione del Friuli”, con contributi di insigni studiosi sull’individualità storica e culturale friulana. L’opera, destinata soprattutto ai membri della Costituente, richiedeva per il Friuli uno statuto giuridico simile alle altre Regioni italiane, ma senza escludere la possibilità di un ordinamento speciale.

    3) Grazie a questa azione, il 18 dicembre 1946 la II Sottocommissione della Costituente decide di inserire fra le Regioni italiane a statuto ordinario la “Regione Friulana” (si badi bene: nel nome non si menziona la Venezia Giulia).

    (PRIMA PARTE)

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  3. SPECIALI PER CASO

    di William Cisilino

    SECONDA E ULTIMA PARTE

    4) Di lì a pochi giorni, però, la Commissione dei 75 blocca tutto. Il perché ce lo spiega bene il prof. D’Aronco in “Sorestants e sotans”: “La seconda Sottocommissione per la riforma regionale aveva inserito nel progetto, insieme alle altre, la Regione Friulana. La Commissione dei 75 discusse e ridiscusse. Si parlò del problema relativo a quali fossero le Regioni storiche, quali le mistilingui, quali degne di autonomia particolare: per esempio il Friuli e la Venezia Giulia, come affermò per primo un deputato di destra. Vi si associò nientemeno che Togliatti, il quale ottenne la immediata ripulsa dei nazionalisti di ogni colore: Tito era alle porte. La Commissione dei 75 si lavò le mani: decidesse la Costituente”.

    5) In pratica la Commissione dei 75 blindò, fra le Regioni a Statuto ordinario, le sole “Regioni storiche”, fra cui non c’era il Friuli, in quanto storicamente (cioè: amministrativamente) associato al Veneto. A Tessitori restava pertanto un’ultima chance, sotto il profilo procedurale: puntare sulla specialità. E così fece. Il 27 giugno del 1947, con un emendamento in seduta plenaria, riuscì a far riconoscere, fra le Regioni a statuto speciale, il “Friuli-Venezia Giulia”.

    6) La vera finalità politica di Tessitori – al netto della retorica d’aula – era opposta agli interessi di Trieste. A parlare è sempre un testimone oculare, il prof. D’Aronco: “Gli autonomisti friulani, che stentavano a inghiottire la Venezia Giulia, confidavano nella vicina nascita delle Regioni, per cui la nostra sarebbe stata costituita dal solo Friuli, non essendo Trieste ancora restituita all’Italia. Poi si vedrà, dicevano”. Ma è lo stesso Tessitori, nel 1963, a confermare un tanto: durante la discussione sullo Statuto speciale, propose Udine come capoluogo e per Trieste una particolare posizione giuridica di larga autonomia. Visto come andò a finire, alla fine si astenne dal voto.

    In poche parole, potremmo dire che la nostra Regione è a Statuto speciale per caso.

    Ma questa è acqua passata. È invece di vitale importanza, oggi, per il Friuli e per Trieste, ridiscutere i motivi per cui va mantenuta, a cinquant’anni di distanza, un’autonomia differenziata. Invocare l’economia e le infrastrutture non credo sia una buona idea (che direbbe la Lombardia, ad esempio?).

    La nostra regione è l’unico luogo dove convivono i tre ceppi linguistici d’Europa. Questo mi sembra un motivo molto più saldo, e di valenza internazionale, da cui partire. Fermo restando che il miglior modo per giustificare l’esistenza della specialità è esercitarla.

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    Il testo dell'articolo è stato pubblicato sul Blog del nostro Comitato autorizzati dall'autore stesso, William Cisilino.

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  4. Dalle Province alle Uti:

    I costi e i rischi del riordino - PDF
    "Ciriani alla vigilia del Cal, “Con la riforma verranno vanificati i risparmi prodotti in 4 anni (100 milioni di euro), spesa pubblica in aumento per il costo del personale senza benefici in termini di efficienza amministrativa”.
    “La riforma Panontin vanificherà i risparmi prodotti dalle 4 Province (pari a 100 milioni di euro) nel quadriennio 2009-2013 grazie a un’oculata gestione dei propri bilanci. Ad assorbirli i maggiori costi per la Regione derivanti dalla gestione delle rete viaria, del personale e dei servizi fondamentali oggi in capo agli enti di area vasta”. Alessandro Ciriani, presidente dell’Upi Fvg e della Provincia di Pordenone, interviene alla vigilia del voto del Consiglio delle autonomie locali (Cal) sull ddlr di riordino degli enti locali, fornendo nuovi elementi che scardinano la proposta di riforma evidenziandone gli esiti fallimentari sulle casse regionali.

    “Nell’assolvere alle loro funzioni che sono ben più di quelle classificate nel documento regionale (126 quelle registrate) – spiega Ciriani - le Province hanno contribuito in maniera significativa al contenimento della spesa pubblica risparmiando, dal 2009 al 2013, 100 milioni di euro di cui 14 milioni di euro per la spesa corrente. In calo del 6% la spesa per il personale (dati derivanti dai Certificati al Rendiconto di bilancio 2013). La riforma Panontin, invece, va dal lato opposto”.

    Ciriani continua a snocciolare i dati. “Per il trasferimento dei dipendenti delle Province alla Regione e ai Comuni – aggiunge il presidente della Provincia di Pordenone – si preannunciano maggiori costi per almeno 5 milioni di euro. Dato elaborato tenendo conto che oltre il 65% del personale dipendente degli enti di area vasta sarà dirottato alla Regione che trasferirà a sé ben 61 funzioni amministrative ovvero tutte quelle con maggior impatto sotto il profilo del numero dei dipendenti impiegati (lavoro, motorizzazione civile, viabilità, ambiente, funzioni contributive, ecc.”.

    Il presidente dell’Upi Fvg, inoltre, esprime pesanti dubbi sulle performance delle Unioni dei Comuni sul fronte del contenimento della spesa. “I risparmi prodotti dalle Unioni – sottolinea Ciriani – non sembrano essere così scontati visto che la Regione, dopo il primo triennio e dati alla mano, prevede penalizzazioni finanziarie alle Uti poco virtuose. E allora perché depotenziare le Province che hanno dimostrato oculatezza ed efficienza se non si è certi che la gestione associata sia vantaggiosa?”La Regione mette le mani avanti anche sul versante della spesa per il funzionamento delle Unioni che non può superare la spesa media dei Comuni aderenti nel biennio 2012-2014. “Ma l’Unione non dovrebbe garantire di per sé una riduzione di tali costi?” s’interroga Ciriani che bolla l’impianto come carente, palesemente lacunoso con molte criticità che si riveleranno in tutta la loro portata sul lato contabile ma anche su quello lato pratico e operativo con servizi che – specie nella fase del trasferimento delle funzioni - verranno sicuramente a mancare ai cittadini.

    PRIMA PARTE

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  5. SECONDA PARTE

    Dalle Province alle Uti:

    I costi e i rischi del riordino - PDF


    “Mi chiedo se i Sindaci – aggiunge Ciriani - e da loro domani mi aspetto una forte presa di posizione, si rendano effettivamente conto di quello che li attende: pensiamo alla competenza sull’edilizia scolastica. Con il passaggio della funzione alle Unioni il quadro sarà molto eterogeneo: sicuramente si scardinano le economie di scala fino ad oggi realizzate e alcune Uti saranno chiamate a sostenere i costi anche per quelle che non avranno la competenza sulle scuole”. Sotto la lente anche la dimensione e l’efficienza delle Uti, forme associative che ricordano esperienze già sperimentate in Fvg ma con esiti poco soddisfacenti. “L’auspicio è che non si creino Unioni di serie A e di serie B e che al loro interno non aumenti la distanza fra comuni grandi e piccoli, che, con il voto ponderato, partono già penalizzati” e, conclude Ciriani “rimane sconcertante constatare che la Giunta regione non sia in grado di produrre un documento scritto sugli effetti finanziari da allegare al testo del provvedimento di riordino delle funzioni di Province e Comuni!”.

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