domenica 8 maggio 2016

SENZA AUTONOMIA NON C'E' DEMOCRAZIA



Senza autonomia

non c’è democrazia


Testo della Relazione presentata dal “Comitato per l'autonomia e il rilancio del Friuli” - quale relatore/ospite - alla Tavola rotonda sul tema “Autonomia regionale e democrazia diretta: opzioni alternative o complementari?svoltosi in sala Ajace a Udine venerdì 20 novembre 2015 e organizzato dal M5S di Udine che il Comitato ringrazia per l'invito.


"Non è un caso che i Padri Costituenti, in Italia, nel 1946 abbiano inserito proprio nel primo articolo della nostra Costituzione il principio fondamentale che “dovrebbe” essere alla base della vita sociale e politica della Repubblica italiana: “la sovranità appartiene al popolo”. Ed è proprio l'autonomia, ossia l'autogoverno in prossimità del cittadino, il cardine della “sovranità popolare”, quindi della democrazia.
Dunque, Democrazia e Autonomia sono PRINCIPI fondamentali della nostra Costituzione. Non sono alternativi e neppure complementari, perchè sono la faccia di una stessa medaglia: la sovranità del popolo. Hanno uguale peso ed importanza.

Poi ci sono realtà territoriali che necessitano di una “AUTONOMIA SPECIALE”, perchè speciale è la loro realtà storica, culturale e linguistica.

Una realtà “particolare” che non si riscontra nelle regioni contermini e nella regioni ordinarie. E' questo il caso della nostra regione ove la MAGGIORANZA della popolazione è minoranza linguistica storica riconosciuta ai sensi dell'art. 6 della Costituzione italiana. Su cinque regioni a statuto speciale ben quattro hanno una situazione paragonabile a quella del Friuli. Solo la Sicilia deve la sua specialità al timore che i siciliani volessero distaccarsi dallo Stato italiano.

I motivi per cui nel 1947 la nostra regione è stata inclusa tra le regioni a statuto speciale oggi non sono più richiamabili, perché:
  • la situazione internazionale è completamente cambiata (nel 2000 la Slovenia è entrata a far parte della Unione Europea).
  • la tragica situazione economica del Friuli (uscito letteralmente distrutto dalla Prima guerra mondiale e successivamente poco e quasi nulla finanziato dallo Stato italiano perchè considerato “territorio a perdere” in caso di nuovo conflitto militare, oltre ad essere soggetto a pesantissime servitù militari) è stata in gran parte sanata grazie alla autonomia speciale.
E' da evidenziare che successivamente, dal 1947 ad oggi, i diritti linguistici sono stati riconosciuti da fondamentali istituzioni mondali (in primis l'ONU) diritti UMANI primari da tutelare e difendere. E la stessa Unione Europea ha approvato importanti trattati internazionali (sottoscritti anche dall'Italia) a tutela delle minoranze linguistiche (sinonimo del termine giuridico “minoranze nazionali” nel linguaggio giuridico della UE).

In un 1947 in cui l'Italia era alle soglie delle prime elezioni libere nazionali e il nazionalismo italiano diffondeva lo spauracchio di “Tito” che riteneva pronto a conquistare il Friuli, il clima politico non permetteva sicuramente di motivare la autonomia speciale della nostra regione con la presenza delle minoranze linguistiche ma dalla lettura dei documenti redatti dalla Costituente si evidenzia chiaramente che i Padri Costituenti erano ben consci della “particolarità linguistica e culturale” del Friuli.

E proprio il Friuli terremotato ha sperimentato quanto l'autonomia sia importante e fondamentale. Senza l'autonomia di cui godettero Sindaci e Regione oggi non si potrebbe raccontare di una ricostruzione che ha visto l'intero popolo friulano solidale e unito verso un unico obiettivo: ricostruire senza scandali e corruzione. Ricostruzione che rimane l’unica grande opera in Italia che oltre a essere stata completata, è stata anche completamente contabilizzata.

L'autonomia oggi è vilipesa, aggredita, considerata la responsabile di ogni “male” del Paese Italia. Crediamo invece che si debba fermare la restaurazione e rivalutare l'autonomia e il diritto degli enti locali di autogovernarsi.

Il decentramento amministrativo è strumento di democrazia teso a valorizzare le risorse morali e operative di un popolo (principio di solidarietà) per fare cosa? Deve essere indirizzato soprattutto ai tanti piccoli portatori di interessi diffusi, come comunità locali e decentrate , famiglie, piccole e medie imprese, realtà svantaggiate, le molteplici espressioni della società civile, con azioni mirate a potenziare, attraverso tutti gli strumenti praticabili e aggiornati, una chiara strategia di governo che sostenga la loro capacità di stare in “salute”, vivaci e creativi, e solidali, dentro una realtà nazionale e un mondo globalizzato dove le sfide alla concorrenzialità di area, di sistema e di impresa diventano sempre più stringenti e i poteri forti sempre più attaccati alle rendite di posizione quando non alla corruzione, che con la scusa dell’efficienza impongono una democrazia lontana dal cittadino e vicina alle loro visioni.

Un esempio positivo ci viene illustrato dall’economista Mattioni, di quanto importante sia che certi valori vengano applicati, cioè che in regione il credito cooperativo che è essenzialmente locale, non ha praticato il credit crunch, e il suo volume di credito alle imprese non è diminuito dopo la crisi contrariamente a quanto portato avanti da illustri banche nazionali dai scintillanti spot televisivi e da popolari macroregionali, che ora devono prestarsi obbligatoriamente al giudizio senza complimenti del mercato azionario oltre che alle inchieste della magistratura.

Ora mentre i maggiori economisti mondiali ci spiegano che la più grande minaccia nelle democrazie sta nel divaricarsi della diseguaglianza sociale attraverso la contrazione dei redditi dei ceti medio-bassi, la politica nazionale sceglie di concentrare progettualità e investimenti sulle aree forti cosiddette metropolitane, tutte nelle grandi regioni.

Si dice che da li viene il 70% del Pil con il 60% della popolazione. Ma forse più che altro li è anche concentrato più del 70 % della corruzione e nelle periferie tanta e tanta emarginazione di masse che inurbandosi non hanno avuto il tempo di costruirsi gli anticorpi alle disuguaglianze.

Così l’Italia dopo aver firmato i protocollo internazionali sulle minoranze e la sentenza della Corte Costituzionale del 2013 che ne riconosce ampiamente l’eguaglianza, proporrebbe a noi friulani, e altre individualità regionali di liquefarci e scioglierci nelle macroregioni.

Ma come suggerisce il proverbio popolare chi tardi arriva come minimo troverà la cena fredda. E i nipoti di quelli che si tennero i pochi soldi destinati alla ricostruzione del Friuli dopo le tragedie della prima guerra mondiale, non avranno certo cambiato stoffa e vedremo subito annullate le politiche sin qui costruite per difendere anche la nostra identità a partire da quanto riguarda la tutela delle minoranze linguistiche e verremmo svantaggiati da un maggiore accentramento, con un impianto amministrativo come quello veneto, dove per forza le provincie devono rappresentare le aree vaste al posto delle UTI in cantiere nella nostra regione, e dove le provincie con meno di 300.000 abitanti sono state subito abolite, cioè Belluno e Rovigo, e dove pure sono abolite le elezioni dirette degli organi di area vasta, oltre che la stessa espressione provincia. C’è ne abbastanza per dire ne vedremo delle belle.

In realtà non stiamo assistendo a un vero scontro tra potere centrale e regionale, ma tra le grandi regioni e regioni piccole.

La Lombardia è comunque regione, che con poteri formali allargati o no, risulta determinante a livello nazionale e la Sicilia pure. Nel Lazio e in Campania possono fare qualsiasi sciocchezza, tanto il nazionale fa la sua parte solo quando i protagonisti deragliano da soli, forse interverrà coi suoi tempi la magistratura. Ma dove c’è la cultura dell’autonomia dovrebbero intervenire i partiti locali, ma per ora sono molto centralizzati e aspettano l’imbeccata da Roma. Nel Veneto hanno la mania di portarsi al livello lombardo e sicuri di incettare due milioni di cittadini in più, hanno rifiutato di fare la macroregione del Nord e invece attaccano Trento, Bolzano e il Friuli- V.G. contrariamente a quanto consigliava il prof. Miglio. Mentre il Piemonte attacca la Liguria.

Quale il legame tra la democrazia diretta e l'autonomia?

Sono entrambi espressione della “sovranità popolare”. Non è pensabile che la democrazia diretta possa sostituire l'autonomia. Un referendum, per quanto sia uno strumento importante di democrazia diretta, è un fatto episodico: altro è un territorio che attraverso la quotidiana autonomia amministrativa degli enti locali sceglie ciò che è meglio per questo territorio.

Concludiamo affermando che se la politica regionale non avesse il ritardo culturale che ha sui diritti linguistici delle minoranze linguistiche che vivono in regione e avesse dato attuazione ad una politica seria di tutela, oggi non saremmo qui a chiederci come fare per difendere l'autonomia speciale della nostra regione, e a temere la cancellazione della stessa e che dopo quasi mille anni toglierebbe al Friuli il Parlamento.”

Udine, 20 novembre 2015

Per il Comitato per l’autonomia

e rilancio del Friuli

Giancarlo Castellarin – Roberta Michieli


1 commento:

  1. Posto alcune osservazioni del Prof. Sergio Moscone di Alba (Cuneo):
    "anche la Sanità, passata dallo Stato alle Regioni, è diventata prodotto. Come prima cosa, si è cambiato nome. Si ricorderà che, in passato, veniva usa la sigla USSL, ossia Unità Socio - Sanitaria Locale; ora si parla di ASL, cioè di Azienda Sanitaria Locale. Un semplice cambiamento di sostantivo ha permesso di considerare gli utenti non più persone, ma semplici numeri. A questo punto, si è potuto iniziare a chiudere tranquillamente i punti nascita o i Reparti di Pronto Soccorso dei nosocomi minori, senza ba­ttere ciglio. Dopo tutto, i dati statistici dicono che la mortalità in Italia ha superato la natalità, quindi, la scelta della chiusura dei reparti di ostetricia è "aziendalmente giusta"... :(

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