mercoledì 15 aprile 2015

FERMARE IL NUOVO CENTRALISMO - di Gianfranco D'Aronco


Fermare il nuovo centralismo

di Gianfranco D'Aronco


Forse qualcuno dei miei 24 lettori ricorderà che, alla vigilia delle prime elezioni regionali (1964), il partito di maggioranza si preoccupò di rassicurare i friulani - timorosi del matrimonio forzato con la Giulia - che non ne sarebbe assolutamente conseguita una prevalenza di Trieste ai danni di Udine, Gorizia e Pordenone. Nessun timore di accentramento del potere: la Regione si sarebbe limitata a tracciare le grandi linee programmatiche (così si disse), mentre la loro realizzazione sarebbe stata demandata “di norma” agli enti locali: province e comuni.

La regola sarebbe stato il decentramento: lo si legge ancora oggi nel nostro statuto, che ha valore di legge costituzionale. Ma fu esattamente il contrario. Finita la festa, si affermò in alto loco che era impossibile rinunciare alla gestione diretta di una politica unitaria: troppo macchinoso. Decentrare mai: meglio accentrare tutto, a cominciare dai contributi alle sagre e alle bocciofile.

A distanza di 50 anni si ripete oggi con sempre maggiore sicumera che la Regione deve essere una: anzi unica, unita, unificata, unitaria, uniforme e univoca (un’inezia: è sparito pure il tratto distintivo fra i due toponimi: l’uno antico di 2000 anni, l’altro di recente invenzione: 1863). I campanilismi costituiscono un orribile attentato all’autonomia speciale: questa la voce dei padroni.

Non so se la città giuliana è fornita di campanili, oltre a quello di San Giusto. Fatto si è che Trieste è in cima ai pensieri dei politici regionali di turno, particolarmente sensibili alle esigenze della “capitale” e del capitale (compreso il vitalizio “sibi et suis”). Pare che, almeno ascoltando quotidianamente la televisione di stato, ogni iniziativa intrapresa a favore o del Porto vecchio e della Ferriera o della Barcolana sia la miglior operazione volta al benessere generale, esteso alla intera regione dalle Alpi al mare. La cultura merita poi un favore particolare. A ripianare il deficit del teatro “Verdi” o “Rossetti”, ad esempio, ci pensa la Regione non per niente autonoma: tra i primi a beneficiarne sarebbero i furlani, si badi bene, di persona o di riflesso. Se non si muovono, peggio per loro.

Il finanziamento straordinario di 30 miliardi, detto fondo di rotazione, concesso alla metropoli veneto-giuliana a cominciare dal 1955 (altro esempio), non toccò per nulla il Friuli. Infatti alla semplice richiesta di poter attingere a quei fondi, timidamente avanzata da due parlamentari udinesi, si reagì con una sdegnosa e scandalizzata ripulsa da parte dei patrioti redenti. I diritti di Udine non erano paragonabili a quelli di Trieste. Oggi come ieri, quella che prevale oltre Timavo è una mentalità prettamente municipale, ereditata dai tempi della dedizione agli Asburgo (1382). Niente la fare: noi siamo solo il contado.
 
Ma l’accentramento, intrapreso su scala nazionale da chi oggi comanda nella Città eterna, ha trovato accoglienza immediata dove? Da noi, come no. Quando fu annunciato l’accorpamento o la riduzione delle province, storiche o no (s’intende per via dalla razionalizzazione ovvero del risparmio assicurato), cui le regioni speciali non erano del resto tenute, vi fu chi, dal seggio più alto di piazza Unità, sentenziò prontamente che l'idea era una gran cosa, e che anzi, quanto alle province, si poteva abolirle tutte. Non diversa fu l’idea di chi succedette a occupare l’alto solio.

E anzi (l’appetito vien mangiando) si stabilì che anche i comuni debbano essere in parte eliminati accorpandoli: e ciò per renderli più efficienti. Alla Regione definirne i confini. E ciò non ascoltando i diretti interessati, ma ispirandosi alla grande storia (è noto l'episodio che vide a Yalta o non so dove Iosif Vissarionovi? Džugašvili detto Stalin, armato di una grossa matita blu, tracciare su una carta d’Europa il confine tra gli stati d’influenza occidentale e quella orientale, da cui la cortina di ferro di churchilliana memoria). I comuni reticenti si vedrebbero ridurre di un terzo, per castigo, i trasferimenti dalla Regione.

Quanto alle future provincette potrebbero essere battezzate con altro nome (dopo Aree vaste si è pensato a Unioni territoriali intercomunali e via dicendo: Circondari sarebbe un tornare indietro), o meglio con semplici numeri: così sarebbero ancora meno identificabili a futura memoria.

Già che ci siamo, ecco razionalizzare anche gli ospedali o meglio le aziende sanitarie, abolendone alcune. Un suggerimento: più in là aboliamo pure i malati, o quanto meno lasciamoli a casa, dove potranno essere agevolmente raggiunti dai medici, magari forniti di auto con autista: mica si può pretendere che un professionista faccia un doppio mestiere. Gorizia, che cincischiò a suo tempo quando fu invitata ad aderire alla Unione delle province friulane, continui pure a fare l'occhiolino a Trieste, nella speranza di ricavare qualcosa di sotto il tavolo, certo più che da Udine.

E Pordenone, cui Udine regalò metà della sua provincia nel 1968, mediti su quel che le viene ora in cambio da Trieste, dopo essersi donata a lei per un piatto di lenticchie.

Torniamo a Roma capitale immorale. Il Senato non potrà più legiferare, ridotto come sarà a un vaso di fiori. Come si vede, ci vuol poco a cambiare la Costituzione. Un illustre giurista prevede che la riforma in itinere finirà per cambiare un buon terzo della Carta fondamentale, compresi i rapporti con le regioni. Per esempio, si preannuncia, con l'eliminare alcune materie di potestà legislativa primaria o concorrente della regione. A proposito: chi oggi è al sommo del Friuli Venezia Giulia può ben attingere a più alti onori. È un richiamo del resto dalla città natia.

Essere proconsoli a Trieste, tutto sommato, è poca cosa. Trieste non ha da tempo la Sissi, è vero: ha la Sissa e altro, per via del terremoto che ha devastato il Friuli, non la città Cara-al-cuore. Ma è una tappa per ulteriori vittorie. Corsi e ricordi storici: mi viene in mente la celebre profetessa ebrea, autrice del canto dei Giudici (XII secolo a.C.), vincitrice del re di Hazor. Il suo nome cominciava per “D”.

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L'articolo a firma del Prof. Gianfranco D'Aronco - Presidente Onorario del "Comitato per l'autonomia e il rilancio del Friuli" -   è stato pubblicato sul quotidiano il Messaggero Veneto martedì 14 aprile 2015.



1 commento:

  1. Sempre lucido e preciso il Prof. Gianfranco D'Aronco!
    Complimenti per la sua analisi, amara, ma purtroppo vera!

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