martedì 6 agosto 2013

LO STATO ITALIANO E LA REGIONE FRIULI-VG, RISPETTANO I DIRITTI LINGUISTICI ? LETTERA DI SAMO PAHOR ALLA PRESIDENTE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI




LO STATO ITALIANO

E LA REGIONE FRIULI - VG,

RISPETTANO
I DIRITTI LINGUISTICHI ?

Lettera di Samo Pahor
alla Presidente della
Camera dei Deputati

 
Dal sito internet del Comitato 482



Gentile signora  L a u r a   B o l d r i n i
presidente della Camera dei deputati .
Camera dei deputati
R o m a

Oggetto: Il rispetto si acquisisce con l’operato.

Mi permetto di scriverLe perché essendo laureata in giurisprudenza non potrà non comprendere il mio discorso.
Per motivi prettamente giuridici non ho grande stima del parlamento italiano:

1.La Costituzione ha stabilito che la Repubblica tutela le minoranze linguistiche con apposite norme, ma la prima legge per la tutela delle minoranze linguistiche, fatta qualche eccezione davvero eccezionale, è stata approvata oltre mezzo secolo più tardi.

2. Nel frattempo la Corte costituzionale, su mia iniziativa, ha emanato tre sentenze in materia di tutela delle minoranze linguistiche che stabiliscono l’immediata efficacia operativa dell’articolo 6 della Costituzione e dell’articolo 3 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, recante lo statuto speciale della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, nei confronti delle minoranze linguistiche riconosciute.

3. La legge 15 dicembre 1999, n. 482, riconosce le dodici minoranze linguistiche storiche, ma non riconosce a queste minoranze nemmeno la “tutela minima” riconosciuta dalla Corte costituzionale, benché le tre sentenze, di cui al punto 2, siano della specie di “sentenze monitorie” o “sentenze di indirizzo”, le cui motivazioni sono vincolanti per il legislatore.

4. La X disposizione transitoria della Costituzione ha stabilito che l’articolo 6 si applica immediatamente nel Friuli-Venezia Giulia a prescindere dal rinvio della costituzione della regione autonoma. Ma anche lì la norma costituzionale è stata disattesa o violata per oltre mezzo secolo.

5. L’articolo 3 dello statuto speciale della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia recita: “Nella regione è riconosciuta parità di diritti e di trattamento a tutti i cittadini, qualunque sia il gruppo linguistico al quale appartengono, con la salvaguardia delle rispettive caratteristiche etniche e culturali”. Nonostante i tre rimproveri della Corte costituzionale nelle tre sentenze, né il parlamento nazionale, né il consiglio regionale hanno provveduto ad emanare le norme indispensabili per assicurare tale parità di diritti e di trattamento ai cittadini appartenenti ai gruppi linguistici friulano, germanico, italiano e sloveno.

6. Per tutti questi motivi credo di poter affermare che nella regione autonoma Friuli-Venezia Giulia esiste fin dal 1963 un regime di discriminazione razziale, perché, come Lei ben sa, si tratta di discriminazione razziale quando si nega a una parte della popolazione il godimento o l’esercizio, su piede di parità, dei diritti dell’uomo goduti o esercitati dal resto della popolazione.

7. Nel caso della minoranza linguistica e nazionale slovena il comportamento del parlamento nazionale è ancora più riprovevole:

a) Mentre nell’articolo 2 della legge 23 febbraio 2001, n. 38, si richiama il principio stabilito dall’articolo 7 della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie che recita “il rispetto dell’area geografica di ogni lingua regionale o minoritaria, facendo in modo che le divisioni amministrative già esistenti o nuove ostacolino il promovimento di tale lingua regionale o minoritaria”, all’articolo 8 introduce la nuova divisione amministrativa dei comuni di Gorizia e di Trieste con l’evidente scopo di ostacolare non il promovimento della lingua slovena, ma lo stesso uso della lingua slovena. Quindi si introduce la diseguaglianza di diritti e di trattamento al interno della stessa comunità slovena secondo la zona di residenza all’interno del territorio di insediamento della minoranza.

b) Lo Statuto speciale del 5 ottobre1954 ha riconosciuto il diritto all’uso della lingua slovena con tutte le autorità amministrative e giurisdizionali e il trattato di Osimo del 10 novembre 1975 ha confermato questo diritto, ma la legge 23 febbraio 2001, n. 38, nega questo diritto nei rapporti con le forze armate e le forze di polizia. E ciò in barba alla definizione della tutela minima della Corte costituzionale che recita “Sulla base dei principi costituzionali e di diritto internazionale ora descritti, non vi può esser dubbio che la tutela di una minoranza linguistica riconosciuta si realizza pienamente, sotto il profilo dell’uso della lingua materna da parte di ciascun appartenente a tale minoranza, quando si consenta a queste persone, nell’ambito del territorio di insediamento della minoranza cui appartengono, di non essere costrette ad adoperare una lingua diversa da quella materna nei rapporti con le autorità pubbliche”.
 
Non credo che si possa pretendere alcun rispetto per un’istituzione che ha tale atteggiamento nei confronti dell’ordinamento giuridico nazionale e nei confronti dell’ordinamento giuridico internazionale. Comprendo bene che è suo dovere istituzionale difendere il buon nome della camera che presiede, ma sono convinto che la sua difesa sarà più efficace se riuscirà ad ottenere un comportamento più serio della stessa. Le immagini dell’aula semivuota o quasi vuota non favoriscono il buon nome del parlamento.

La Costituzione, Legge fondamentale della Repubblica, deve essere fedelmente osservata da tutti i cittadini e dagli organi dello Stato.

Con ossequio

Trieste, 25 luglio 2013*

Samo Pahor
34128 Trieste TS



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