mercoledì 1 luglio 2009

FRIULI:COSTRUIAMO UN PROGETTO

Invito
FRIULI:COSTRUIAMO UN PROGETTO

è il tema che sarà affrontato
MERCOLEDI' 1 LUGLIO 2009
DALLE ORE 11.00 ALLE ORE 12.30
SALA KUGY PALAZZO REGIONE
UDINE
in un
INCONTRO CON CONFERENZA STAMPA

al quale è gradita la Sua partecipazione

Le associazioni promotrici presentano e propongono alle altre associazioni categoriali, sindacali e politico – culturali, alle istituzioni ed alla intera società civile friulana e regionale un documento quale proposta per rispondere alla crisi in atto in una prospettiva di rilancio e riqualificazione strutturale dell'intero territorio friulano, proiettata verso un possibile “Progetto per il Friuli”.
La proposta,articolata sul tempo breve, medio e lungo, presuppone anche un metodo di governo atto ad assicurare efficacia attuativa assieme ad ampie garanzie di sostenibilità verso l'intero territorio.
L'iniziativa è aperta all'apporto di quanti vorranno dare il loro contributo.
Sono invitati anche i Presidenti delle Province, Sindaci, Università del Friuli.
Distintamente

Proponenti
          Associazione Piccole e Medie Industrie Udine
          Confartigianato Udine
          C.G.I.L.dell'Udinese e Bassa Friulana; C.G.I.L. dell'Alto Friuli
          C.I.S.L. dell'Udinese e Bassa Friulana; C.I.S.L. dell'Alto Friuli
          U.I.L. Provincia di Udine
          Comitato per l'Autonomia ed il Rilancio del Friuli

Allegato:Documento

Allegato:Documento


FRIULI: COSTRUIAMO UN PROGETTO PER USCIRE DALL’OMBRA
DOCUMENTO DI DIBATTITO PER RISPONDERE ALLA CRISI APRENDO UNA PROSPETTIVA DI RILANCIO E RIQUALIFICAZIONE STRUTTURALE DELL’INTERO TERRITORIO FRIULANO

1. Sommario
Questo documento costituisce una proposta, promossa da alcune associazioni della società civile friulana, rivolta a tutte le Istituzioni friulane e regionali. Non è la conclusione ma il punto di partenza di un dibattito e di un processo di elaborazione e di azione intorno ad un possibile “Progetto per il Friuli”. Non riguarda tutti i molteplici aspetti della crisi friulana ma solo alcune questioni nodali relative alle strutture territoriali ed ai processi di governo.

I temi cruciali del documento sono: la debolezza strutturale dell’area friulana, la crisi e le soluzioni di breve, di medio e di lungo periodo; una ripresa economica in sintonia e non in contrasto con una prospettiva di sviluppo sostenibile; L’Università e l’innovazione produttiva, sociale e politica; un metodo di governo che non disperda l’insegnamento, tutt’ora valido, che viene dalla grande esperienza della ricostruzione post-terremoto.

2. Friuli e regione
Il Friuli attuale (non quello storico) è un soggetto socio-territoriale con contorni non sempre netti e con riferimenti istituzionali diversificati. Il Friuli non è tutta la regione Friuli Venezia Giulia ma ne è una parte rilevante. La regione FVG, d’altra parte, non è solo Friuli ma, senza di esso, sarebbe priva di gran parte del capitale territoriale, economico, sociale ed ambientale dell’intera regione. Il Friuli, inoltre, è più grande della sola provincia di Udine anche se ha, in questa, i suoi principali motori. Friuli, quindi, è oggi un soggetto con cui è necessario confrontarsi ma non facilmente definibile e istituzionalmente rappresentabile. Per questo, nel documento, il Friuli è un soggetto dalla identità aperta all’inclusione ed alla elaborazione di una visione comune. In quest’ottica è un soggetto che vuole confrontarsi con il resto della regione e con l’istituzione Regione nell’ottica proattiva della sussidiarietà. Il Friuli ha, quindi, non solo il diritto ma anche il dovere di farsi carico di una proposta verso la regione e verso l’istituzione regionale. E siccome sussidiarietà deve significare anche responsabilità, la proposta viene costruita in modo da soddisfare le aspettative del Friuli nella compatibilità con le altrettanto legittime aspettative del resto della regione. In sintesi, questo documento formula una proposta valida per il Friuli ma che al contempo può essere discussa e condivisa con l’intera regione FVG.

3. Le questioni sul tappeto
Il Friuli è profondamente coinvolto nella crisi economica. Questa grava pesantemente sul suo territorio. La crisi friulana, però, non è solo un derivato della crisi finanziaria, e poi economica, nata negli Usa l’estate scorsa e poi diffusasi a livello mondiale ma è anche crisi sua propria, crisi di caratterizzazione strutturale ed infrastrutturale, crisi di prospettiva strategica. Il Friuli, va detto chiaramente a scanso di equivoci, rischia di essere cancellato dalle carte della grande programmazione. Questa è la prospettiva reale se non ci sarà una risposta adeguata. Il Friuli e le sue città non ci sono negli scenari della programmazione europea dei prossimi vent’anni. Il Friuli e le sue città non ci sono, se non marginalmente, negli scenari della programmazione nazionale (cfr. Allegati Infrastrutture Dpef, 2008-2011). La Giunta regionale, peraltro, dopo aver assunto recentemente importanti provvedimenti per far fronte all’emergenza, non mostra di avere alcuna visione di medio e lungo periodo dell’insieme del territorio regionale.

Una risposta alla crisi economica attuale deve essere data, quindi, partendo sì dalle grandi e piccole azioni di riassetto funzionale e di riqualificazione industriale, economica e territoriale che servono all’emergenza di oggi ma mettendo molta attenzione nel preparare le condizioni strutturali per la competitività economico-territoriale del Friuli di domani. In questo scenario, il ruolo dell’Università, il rilancio delle politiche di innovazione produttiva, le politiche nel campo delle reti per la mobilità, per l’energia, per l’informazione sono fondamentali. Ma per non cadere in una visione astratta e dirigista della modernizzazione, che rischia il rifiuto delle comunità, queste politiche devono essere inquadrate in un progetto di sviluppo complessivo, sostenibile, sufficientemente convincente e condiviso, traguardato al breve, al medio ed al lungo periodo.

Ma per fare ciò ci vuole coesione sociale e politica. Il Friuli deve affrontare unito sia l’“emergenza” sia la “prospettiva” con una strategia propositiva che sia possibilmente il frutto di un “comune costruire” delle rappresentanze istituzionali, categoriali, sociali, che il territorio friulano esprime.

4. Il metodo
La ricostruzione post-terremoto ci ha insegnato una capacità di visione generale, un metodo ragionevole della politica ed una capacità di solidarietà della società nel suo complesso che oggi sembrano essersi offuscati ma che sono invece assolutamente necessari di fronte alla crisi, generale e locale, di cui si è detto. Un metodo che la politica sembra aver perduto. Ma che il Friuli, le sue istituzioni, le sue associazioni e la sua Università devono tenere vivo ed attuale.

E’, in ultima analisi, il problema di come coniugare politiche straordinarie anticrisi con strategie di lungo periodo. Se c’è, oggi, un bisogno diffuso di “ricostruire” un futuro che sembra essersi appannato un po’ per tutti e che, per i tanti che rischiano di perdere il lavoro, è diventato drammatico, le risorse fondamentali, per un progetto complessivo di rilancio, possono essere ricercate recuperando una visione ed un metodo simili, se non per contenuti e finalità, almeno per portata e grado di condivisione, a quelli della ricostruzione del Friuli. Condivisione e metodo anche in senso strettamente tecnico. Cioè come modi di affrontare e coniugare gli interventi di emergenza con i tempi medio-lunghi di una forte piattaforma di rilancio e di sviluppo.

A tal fine si ritiene che un modello basato sulla sussidiarietà orizzontale, sulla partecipazione e sulla concertazione, trasparente e dinamico, ma comunque temporalizzato, debba costituire il punto di riferimento per la elaborazione, valutazione e decisione sulle tematiche strategiche. Questo metodo deve essere ripreso e sviluppato sia all’interno di singole aree decisionali (quella regionale, quelle provinciali) coinvolgendo i diversi stakeholder interessati, sia a livello verticale e multilivello tra le diverse aree decisionali (tra Regione, Province e Comuni).

5. La Regione: un approccio insufficiente
C’è da rilevare innanzitutto un fatto: la Regione fa fatica, e non da oggi, a concepire una visione unitaria del territorio regionale ed una politica cadenzata sui tempi brevi, medi e lunghi. La Regione fa fatica, cioè, a concepire una politica regionale che gestisca sia i rapporti con il territorio nel suo insieme sia i rapporti tra aree sub-regionali. Non c’è ormai grande opera pubblica che non incontri l’opposizione dei territori e, crediamo, non solo per colpa di cittadini refrattari ad ogni modernizzazione. La sintesi, pur necessaria, tra un’area triestina ed area friulana, tra mare e terra, viene costruita, invece, troppo spesso, trasferendo opportunità ed asset strategici solo in una direzione e ciò con la conseguenza di appannare l’identità economico-territoriale del Friuli e di preparare le condizioni per nuove fratture intraregionali. La nostra proposta, quindi, non intende andare contro nessuno e, tanto meno, contro la Regione ma è una proposta di innovazione nella coesione territoriale, nell’interesse di tutta la regione. Cerchiamo, pertanto, di fare la nostra parte propositivamente, elaborando una strategia per il territorio del Friuli per rispondere alla crisi ma con una visione ampia e di prospettiva per tutta la regione. Crediamo che, così facendo, si possa dare un grande aiuto alla stessa politica regionale.

6. Una strategia di rilancio e di riqualificazione economico-territoriale a breve, a medio ed a lungo termine

6.1. I provvedimenti anticrisi in materia di lavori pubblici e di infrastrutture.
6.1.1. Premessa
Le politiche dei lavori pubblici, soprattutto in campo infrastrutturale, sono considerate tipiche politiche anticicliche. Ma vi sono due modi di vederle: a. solo come investimenti una tantum per riavviare i cicli produttivi legati direttamente od indirettamente all’edilizia; b. anche come occasione per una riqualificazione in profondità delle imprese e delle strutture di un territorio. Questa è la lettura che viene privilegiata qui. In questo caso una politica infrastrutturale e dei lavori pubblici deve essere inquadrata nel più ampio contesto economico, insediativo, urbano ed ambientale della regione. Il Friuli possiede i maggiori patrimoni ambientali ed economici come anche la più articolata dorsale urbana (quella, appunto, di Pordenone-Udine-Gorizia) della regione. Una politica infrastrutturale innovativa deve fare i conti dunque, prima di tutto, con questi ineludibili dati strutturali di base. Deve, cioè, essere programmata in funzione di queste strutture urbane ed economiche ed in funzione della protezione e valorizzazione dei suoi patrimoni ambientali e della conservazione del suolo agricolo e naturale. Su questo punto è necessario un ulteriore chiarimento preliminare.

Trasporto merci, mobilità interurbana su gomma e ferro, energia ed elettrodotti hanno la priorità. Ma si tratta spesso di previsioni che finiscono al centro di accesi confronti ed anche di conflitti con il territorio. La decisionalità su queste opere va rivista resa più convincente. Le strategie di intervento devono essere accompagnate da garanzie credibili. In generale deve essere a. accertata prima di tutto l’utilità e la necessità pubblica delle nuove infrastrutture; b. previsto, in prima istanza, il recupero e potenziamento di quelle esistenti onde limitare il più possibile l’ulteriore consumo di suolo naturale e agricolo; c. solo nel caso di dimostrata impossibilità di ricorso a questa strategie primaria, si potranno individuare nuovi siti e tracciati che comunque dovranno privilegiare l’affiancamento e la vicinanza alle infrastrutture stradali e ferroviarie già esistenti; d. infine, l’investimento pubblico in opere deve diventare, attraverso i meccanismi degli appalti, occasione di occupazione e di profitto per le imprese locali ma anche strumento di innovazione e riqualificazione delle stesse. Gli appalti delle opere pubbliche non devono, pertanto, escludere e penalizzare le piccole imprese del territorio ma devono essere strumento per un coinvolgimento qualificato ed organizzato di queste.

Gli interventi sulla rete autostradale già in corso quali la terza corsia dell’autostrada A4 nel tratto Villesse-Quarto d’Altino; l’adeguamento alle caratteristiche autostradali del raccordo Villesse-Gorizia, il completamento della A28 (Portogruaro-Pordenone-Conegliano) nel tratto da Sacile a Conegliano, come anche la cosiddetta grande viabilità triestina rappresentano opere importanti per rispondere alla domanda di traffico di attraversamento della regione su gomma e come tali vanno completati, ma non è più possibile continuare a rispondere alla crescente domanda di trasporto con il solo potenziamento autostradale di attraversamento.

Vanno riqualificati e potenziati sia il sistema del trasporto su ferro (per le merci come per le persone) sia il sistema di trasporto pubblico di carattere metropolitano (che versa in una situazione disastrosa). La dorsale urbana Pordenone-Udine-Gorizia con le sue diramazioni a nord (verso Spilimbergo e Maniago da una parte e verso Gemona e Tolmezzo dall’altra), a est (Cividale) ed a sud (Palmanova, Cervignano) è la metropoli policentrica del Friuli e deve tornare ad avere una funzione di motore di tutta l’economia friulana. A ovest si riconnette con la metropoli policentrica veneta ed a nord-est con il sistema policentrico carinziano e sloveno. In altre parole la dorsale urbana Pordenone-Udine-Gorizia è, virtualmente, al centro della metropoli policentrica dell’Euroregione. Qui non solo vivono, lavorano e si muovono le maggiori aliquote di popolazione regionale, qui non solo pulsa il cuore economico della regione (il 55% delle merci girano tra varie lavorazioni all’interno dell’area stessa prima di procedere verso i mercati di sbocco) e le persone devono potersi muovere velocemente ed in sicurezza per lavorare, studiare, fare acquisti, divertirsi ecc., ma qui è collocato anche il perno funzionale di quell’Euroregione che, giorno dopo giorno, sta diventando sempre più una realtà concreta al centro dell’Europa. Ma oggi, purtroppo, non è così perché gli scambi stradali tra Udine e Pordenone e tra Udine e Gorizia sono lenti e tortuosi al punto di ritorcersi contro le stesse economie locali. La “metropoli del Friuli”, quindi, in quanto a tempi ed accessibilità, non c’è ed anzi rischia di essere ulteriormente lacerata, da una parte, dall’attrazione del pordenonese verso il Veneto, e, dall’altra, dall’attrazione del goriziano verso l’est e la Slovenia. Una politica per i collegamenti ferroviari e viari (SR 56 e 13) e per il rafforzamento di questa dorsale urbana deve diventare, quindi, prioritaria nei programmi della Regione. La giovane Comunità delle Province friulane dovrà farne, inoltre, il suo cavallo di battaglia altrimenti sarà la provincia di Udine a pagarne, prima o poi, i costi in termini di drastico isolamento.

Le reti immateriali sono altrettanto ed alle volte più importanti di quelle materiali. Tutti i cittadini, le imprese, le pubbliche amministrazioni del Friuli devono avere la possibilità di interconnettersi alla rete delle telecomunicazioni digitali (TLC), ai servizi di connettività evoluti, di usare questa infrastruttura tecnologica quale leva per lo sviluppo di nuova imprenditorialità e per snellire il lavoro amministrativo. Tutte le aziende presenti nelle più disparate zone del territorio friulano dimostrano il bisogno e l’esigenza di potersi collegare con ”il mondo”, inteso come mondo lavorativo esterno alla regione e come mondo informatico. Ma in questo campo si registrano ritardi, non più sopportabili, in ampie zone, anche centrali, dell’economia friulana (Distretto della sedia, ZIU) escluse dalla possibilità di un uso efficace di Internet e delle tecnologie della telecomunicazione. Una moderna ed efficiente rete TLC non basta probabilmente ad invertire la crisi in essere del Distretto industriale della sedia, ma può senz’altro supportare sia la gestione corrente che lo sviluppo di quella parte di aziende dinamiche ed innovative che, anche in quel sistema produttivo, continuano ad investire, a tenere il passo con l’evoluzione dei mercati e ad elaborare strategie di medio-lungo periodo. Tra le aree interessate da questo ‘digital divide’ si possono citare anche altre zone di insediamento artigianale/industriale (es.: la Zona industriale udinese, la maggior parte delle aree montane, ecc.). Accelerare i tempi di realizzazione della copertura del territorio regionale con la banda larga rispetto alla tempistica attualmente preventivata (2010/2011) può contribuire ad imprimere un impulso ‘anti-crisi’, soprattutto a favore delle micro e piccole imprese che rappresentano il 98% del tessuto produttivo friulano e che possono trovare nuove opportunità di sviluppo ed aggregazione proprio grazie a queste reti.

6.1.2. Opere prioritarie a breve (già progettate e che mancano di finanziamento)
L’emergenza richiede che siano prioritariamente finanziati tutti gli interventi già progettati destinati alla manutenzione ordinaria e straordinaria, al risanamento e ristrutturazione degli edifici pubblici, alla manutenzione delle reti e delle opere infrastrutturali esistenti e degli spazi pubblici coperti e scoperti, alla protezione, risanamento e sicurezza ambientale.

E’ necessario che gli Enti territoriali redigano e rendano pubblica, al più presto, a questo fine, una ricognizione di queste opere e del fabbisogno finanziario necessario in modo da poter formulare, in forma concertata con le categorie economiche e con i sindacati, opportune valutazioni di merito e più approfondite proposte.

Qualora esistano già Osservatori, regionali o provinciali, sui lavori pubblici, il mercato del lavoro, l’economia questi devono essere attivati al fine di perseguire gli obiettivi suddetti. Nel caso in cui non siano esistenti è necessario che vengano attivati ed indirizzati nel senso suddetto. Venga attivato l’Osservatorio delle Comunità delle Province friulane per monitorare la situazione generale e specifica nel campo produttivo ed occupazionale anche in vista della formazione dell’Elenco delle opere di cui all’art. 6 punto 3 della recente legge regionale 64/09.

I sistemi infrastrutturali e del trasporto in corrispondenza della dorsale urbana Pordenone-Udine-Gorizia, devono essere considerati, come si è detto, una priorità assoluta della politica regionale. In relazione a questa dorsale urbana vanno dunque finanziati tutti gli interventi già pianificati, programmati e progettati riguardanti:

- le ristrutturazioni sulla SR13 e sulla SR56, le tangenziali sud ed est di Udine, il completamento della Cimpello-Gemona nel tratto da Sequals a Gemona;


- il sistema del trasporto pubblico su ferro per le persone, con i nodi, le stazioni, le riqualificazioni della linea e delle opere ferroviarie necessarie. Non è più possibile, cioè, rinviare la realizzazione di un sistema di trasporto pubblico interurbano su ferro cadenzato su alte frequenze di tipo metropolitano.

6.1.3. Opere prioritarie a medio (non progettate)
In materia di viabilità autostradale e stradale, vanno progettati i collegamenti veloci Palmanova-Manzano e Palmanova-Cervignano e va spostato il Casello di Porpetto (al fine di evitare l’attraversamento dell’abitato per raggiungere direttamente la Zona Industriale dell’Aussa Corno).

Per quanto riguarda, invece, il trasporto su ferro per le merci è necessario fare subito un richiamo al corridoio ferroviario AC/AV destinato a raccordare i porti dell’alto Adriatico con la direttrice europea Ovest-Est del Corridoio V. La realizzazione di questa strategia è oggi condizionata, come si dirà meglio oltre, dagli alti costi economici ed ambientali richiesti dal previsto passaggio per Trieste attraverso il Carso triestino.

Insistere su questo tracciato (la cosiddetta “Variante M”) come unica alternativa implica il rischio di non fare nulla. E’ necessario pensare sia ad altre alternative localizzative (di cui diremo al punto successivo) sia ad alternative funzionali proiettate su orizzonti temporali più brevi.

E’ necessario, cioè, individuare una alternativa ferroviaria per il medio periodo. L’unica alternativa credibile è quella di intervenire, prima di tutto, sul completamento dell’asse ferroviario della Pontebbana (sul cosiddetto corridoio “Adriatico-Baltico”) che, oltre che collegare il nord, il centro ed il sud del Paese con il centro Europa, via Tarvisio, può svolgere anche una funzione di collegamento, attraverso Graz e via Budapest, con l’Est europeo e, quindi, di surroga temporanea dei lunghissimi tempi del Corridoio V. Questa strategia implica, in territorio regionale, il raddoppio della ferrovia Cervignano-Udine che non può più essere rimandato, ed una forte azione di cooperazione con l’Austria per rimuovere i colli di bottiglia presenti in quel territorio.
Per quanto riguarda le infrastrutture energetiche e, in particolare, gli elettrodotti, si deve riconoscere che le proposte fino ad ora formulate da soggetti privati e da aziende nazionali non hanno trovato, nel soggetto pubblico competente, un interlocutore attrezzato con una propria politica nel campo specifico. Ciò ha portato e continua a portare al muro contro muro tra proposte di intervento e territori coinvolti. Attestarsi su posizioni autoritarie o tautologiche (serve perché serve!) non è una soluzione e porterà solo all’inasprimento del conflitto. Mancano, invece, a monte, chiare strategie, da parte regionale, sul ruolo da svolgere nel campo della produzione come del trasporto e della vendita dell’energia. Manca un piano energetico che dimensioni domanda ed offerta. Mancano procedure trasparenti, corrette e temporalizzate, di valutazione e partecipazione. Queste sono elementari premesse di una politica energetica che si voglia efficace. Una volta che si sia finalmente deciso che ruolo strategico si intende svolgere nel campo dell’energia, si stabilisca una chiara procedura valutativa e partecipativa, la si temporalizzi e poi si decida. Su questi aspetti, in questo documento, si formula una proposta operativa al successivo punto 7.

6.1.4. Opere prioritarie a lungo (da pianificare, programmare e progettare)

L’opera notoriamente più strategica, come si è già detto, è quella del Corridoio V opera prioritaria del programma europeo TEN-T. Su questa previsione ci sono conflitti e punti di vista radicalmente contrapposti che rischiano di portare al fallimento l’intera opera. Si tratta di ricercare, dopo anni di conflitti e discussioni, una soluzione condivisa aprendo seriamente quel confronto pubblico che mai si è voluto aprire. In territorio regionale, riteniamo che il tracciato della cosiddetta “Variante M” con passaggio per Trieste ed il progetto preliminare di RFI abbiano contribuito a generare il rifiuto dell’opera invece di favorire il consenso del territorio. Si propone di ripartire con alcune significative varianti:

1) abbandonare il passante per Trieste e optare per un più razionale, meno devastante, già condiviso passaggio per Gorizia e la valle del Vipacco, con raccordo sul porto di Trieste; il Friuli punta ad una ricucitura territoriale che veda coinvolti, in una ragionevole soluzione di integrazione metropolitana transfontaliera, Gorizia e Nova Goriza, Koper e Trieste.

2) puntare su un tracciato che ottimizzi l’uso della ferrovia esistente ed utilizzi il più possibile l’affiancamento alla autostrada esistente.

3) Ronchi-Aeroporto va certamente collegato alla ferrovia per consentire un più comodo accesso ai viaggiatori ma bisogna smetterla di considerarlo l’”ombelico del mondo”, il nodo da cui si dirama tutto il sistema di trasporto per viaggiatori e merci: sia perché il sistema aeroportuale si va diversificando in numerosi terminal a seconda delle destinazioni e dei costi; sia perché Ronchi, con la sua utenza limitata e la gestione deficitaria da anni, richiede un riposizionamento complessivo probabilmente, prima di tutto, in sinergia con Venezia, sia perché, prima di attribuire questo ruolo a Ronchi-Aeroporto, è necessario sviluppare il trasporto pubblico di tipo metropolitano nelle città ed in particolare al servizio dell’economia e della popolazione della metropoli policentrica friulana;

4) per quanto riguarda la logistica merci, invece, il vero supporto con la portualità alto-adriatica va individuato nell’Interporto di Cervignano il quale, a sua volta, va collegato, con il raddoppio della linea, con Udine. Lo scalo di Cervignano avrà un futuro se utilizzato per imbarcare su ferrovia le flotte provenienti dall’est e dirette in Francia, Spagna, Portogallo. Ma ciò implica accordi a vasto raggio in primo luogo con l’azienda delle Ferrovie.

Sulla base di queste premesse si può ricercare un consenso più ampio verso l’opera nel suo complesso. Insistere sulla soluzione della variante M e del progetto di RFI significa invece, di fatto, non voler realizzare l’opera.

6.1.5. L’Università ed il rilancio della Innovazione e del trasferimento tecnologico
L’Università è diventata un asset strategico del Friuli. Con l’Università il territorio ha già condiviso un comune patto di solidarietà, di razionalizzazione e di sviluppo che è stato sottoscritto, da una trentina di istituzioni pubbliche e private, nell’ottobre del 2008. Si ribadisce qui che l’Università è e deve essere un punto di riferimento per l’economia ed il territorio friulano. Ormai non può esserci l’uno senza l’altro. Devono continuare ed arricchirsi, pertanto, tutte le esperienze di cooperazione tra Università e territorio, tra Università ed imprese. Ben vengano, inoltre, tutte le cooperazioni possibili nell’ambito regionale, interregionale ed euro-regionale. Ma ciò nella più assoluta autonomia funzionale, culturale e decisionale dell’Ateneo friulano. L’Università del Friuli ha, infatti, nel suo Dna, la vocazione territoriale e policentrica e queste vocazioni, se appannate in cooperazioni e regie eterodirette, finiscono non solo per snaturare le vocazioni originarie ma anche, in ultima analisi, per indebolire economia e territorio friulani.

Ricerca applicata, innovazione di processo e di prodotto, trasferimento tecnologico non sono attività che generano effetti sul breve periodo. Tuttavia costituiscono lo sfondo ed il riferimento inevitabile di ogni politica di sviluppo sostenibile anche a breve. “Innovazione” è concetto fin troppo abusato ma spesso depotenziato nei suoi profondi significati. Per molti significa solo nuove tecnologie. In realtà l’innovazione istituisce un rapporto vitale anche con il passato e la tradizione ed implica inclusione e condivisione umana e sociale. Inoltre non vi può essere innovazione produttiva senza innovazione istituzionale e della politica. Fare cose nuove è certo innovazione ma anche trasformare in meglio le produzioni esistenti e fare bene i prodotti tradizionali è sempre innovazione. Perché l’innovazione deve valere per le nuove tecnologie e non deve valere anche per le produzioni tradizionali? E’ innovazione, inoltre, anche l’adozione di processi produttivi che risparmino energia, che diano più sicurezza al lavoro ed ai cittadini, che migliorino e valorizzino l’ambiente ed il paesaggio. E’ innovazione anche l’adozione di pratiche che facciano vivere meglio le persone nelle città, che riducano la mobilità, che migliorino l’accessibilità ai servizi ecc.
Se, dell’innovazione, la precedente amministrazione regionale ne aveva fatto un mito un po’ astratto ed in qualche modo indifferente al territorio concreto, l’attuale orientamento regionale verso un depotenziamento delle iniziative dedicate all’innovazione nell’area udinese, è altrettanto esiziale anche se per la ragione opposta e cioè per una scarsa attenzione verso gli scenari ed i processi dell’innovazione tecnologico-industriale ed economico-territoriale. Il mancato supporto regionale al Parco tecnologico di “Friuli Innovazione” (che va invece potenziato) ed il dimezzamento della Fiera dell’Innovazione, per esempio, non costituiscono un buon segnale né sul piano culturale né sul piano delle politiche più strettamente territoriali: perché mai, infatti, pensare ad una Fiera dell’Innovazione pendolare tra Udine e Trieste quando l’iniziativa è nata e si è sviluppata a Udine? Forse che Udine ottiene in cambio la pendolarità delle più tipiche Fiere triestine? Non si capisce, pertanto, né la ratio culturale né tantomeno quella politica di questo orientamento che pasticcia, in nome di una “sinergia” altrettanto astratta della “innovazione a tutti i costi”, le naturali vocazioni e specializzazioni territoriali. Da decenni, ormai, si è andata consolidando una sorta di specializzazione dei poli della ricerca e dell’innovazione in regione: la ricerca di base e fondamentale a Trieste, la ricerca applicata ed il trasferimento tecnologico a Udine e Pordenone. Se si vuol mettere in discussione questo paradigma bisogna motivarlo alla luce non di un generico, esiziale ed autoritario rimescolamento delle carte ma alla luce di una elaborazione condivisa, soprattutto dal mondo produttivo e della ricerca, di una strategia dell’innovazione e del trasferimento tecnologico. Il rischio, altrimenti, è quello della via burocratica e dirigistica all’innovazione che è un vero e proprio controsenso e che rischia di soffocare “nella culla” anche i processi di innovazione già in corso.


6.1.6. La montagna
Se la crisi costituisce una prova dura per il Friuli nel suo complesso tanto più ciò è vero per la sua parte montana. La montagna friulana è da tempo un territorio che vive una sua profonda crisi strutturale anche se non mancano ambiti che reagiscono con forza e creatività a difficoltà che paiono, qualche volta, insuperabili: rischi ambientali, riduzione ed invecchiamento della popolazione, chiusura di servizi pubblici e privati; difficoltà all’avvio di veri cicli di turismo bi-stagionale, isolamento sociale, carenze nelle comunicazioni sia fisiche che dell’informazione ecc., sono solo alcuni dei problemi strutturali che affliggono la montagna friulana. Un recupero strutturale passa probabilmente per alcune forti innovazioni di tipo istituzionale (riqualificazione e potenziamento delle Istituzioni di governo della montagna), di tipo socio-economico (ammodernamento e riduzione dei costi per la piccola impresa montana; identificazione di un modello di turismo adatto alla montagna friulana), di tipo territoriale (forte cooperazione policentrica con le aree e regioni confinanti di Carinzia e Slovenia), di tipo organizzativo (servizi a rete a fondovalle, centri poliservizi in quota, trasporto pubblico a chiamata, riduzione dei costi energetici ecc.). L’elaborazione avvenuta negli anni scorsi per il cosiddetto “Progetto montagna”, a cui hanno collaborato fattivamente categorie economiche ed Università, è ricca di idee e suggerimenti nei diversi campi. Ciò che è mancato è la sintesi ed un motore istituzionale di questo processo. Chi deve governare la montagna? La Regione? Le Province? Le Comunità Montane? Le istituzioni locali più o meno riaggregate? Questo dibattito sul corpo del malato ha, sinceramente, dello stucchevole se non dell’immorale. Si convochino subito gli “stati generali” della montagna friulana sulla base di un documento elaborato e discusso da tutte le istituzioni potenzialmente coinvolte e si trovi una soluzione definitiva. Ma si tenga presente che non può esservi vero sviluppo della montagna se guidato dall’esterno e dagli interessi della pianura. La responsabilità nasce dall’autonomia ed è per questo che si ritiene giusto che la montagna debba avere una istituzione interna al territorio montano espressamente deputata al suo governo ed idonea ad assumere anche le competenze e le funzioni ora in capo ad enti montani minori e settoriali.

7. Un metodo di governo

Le proposte qui formulate implicano un metodo di governo diverso da quelli fino ad ora seguiti:

1. evitare di confondere assieme, negli stessi strumenti legislativi e di programmazione, tempi brevi, medi e lunghi perché i conflitti sugli ultimi possono limitare l’operatività sui primi; evitare, soprattutto, di “approfittare”, strumentalmente, della crisi per cercare di bypassare difficoltà di governo sulle questioni più complesse: i tatticismi, in questo caso, si pagano cari;

2. scorporare gli interventi a breve e farne un pacchetto veramente autonomo ed indipendente dalle questioni a medio ed a lungo termine; includere nel pacchetto: a. tutte le grandi e piccole opere già programmate e progettate ma prive di finanziamento; tutte le opere diffuse che non richiedono complesse procedure di progettazione e approvazione ma solo adeguati finanziamenti, come manutenzioni, risanamenti, riqualificazioni di opere pubbliche, di insediamenti esistenti, di aree ambientalmente degradate;

3. per gli interventi ancora da pianificare e programmare si deve cominciare a pensare ad una procedura diversa dal passato. C'è, infatti, diffusa, la preoccupazione che le opere, se “imposte” con l'autorità dall'alto, finiscano nell’impasse. Gli esempi di gravi difficoltà in tal senso e di mancate o ritardate realizzazioni sono molti in Italia ed anche in FVG. E' necessario rinunciare alle facili scorciatoie e ciò si può fare prefigurando, possibilmente una volta per tutte, una metodologia fissata con legge che dia garanzie ai cittadini e tempi certi alla pubblica amministrazione ed agli investitori ed operatori.

Per quanto riguarda la decisione e la localizzazione delle grandi opere lineari o puntuali che sempre più suscitano conflitti con le comunità locali, proponiamo di seguito una metodologia “per la costruzione del consenso” da istituire con una legge apposita:

1. Devono essere preliminarmente definite, con un apposito documento, le aree da cui sono escluse a priori, per ragioni palesi di incompatibilità, tutte le nuove opere infrastrutturali. Queste sono, in linea di massima, tutte le aree di comprovata valenza naturalistica, storica e paesaggistica (ambiti fluviali e naturalistici, contesti storici e di elevato valore culturale, paesaggi e contesti rurali conservati o meritevoli di esserlo).

2. Va elaborato un Piano Territoriale Regionale Strategico (PTRS) nel quale deve essere individuata ed argomentata l’utilità e la compatibilità, con il territorio e l’ambiente, delle grandi previsioni infrastrutturali di interesse regionale. Questo piano deve essere incentrato anche su una visione sufficientemente integrata ed equilibrata delle diverse componenti del territorio regionale.

3. Nel PTRS, la struttura e la localizzazione territoriale delle infrastrutture lineari e puntuali deve perseguire obiettivi di sviluppo regionale sostenibile e, quindi, anche di uso efficiente del territorio e di risparmio di suolo agricolo e naturale. Deve, pertanto, basarsi sui seguenti criteri:

- prioritariamente si deve studiare la possibilità residua di saturazione delle linee e degli impianti esistenti;

- in caso di comprovata impossibilità tecnica di potenziamento o di raggiunta saturazione delle reti, si possono ipotizzare nuove linee ed impianti;

- le nuove linee devono essere previste in affiancamento alle infrastrutture stradali e ferroviarie già esistenti ed i relativi nodi in corrispondenza di aree industriali di interesse regionale;

- gli elettrodotti devono essere localizzati in affiancamento alle infrastrutture lineari stradali e ferroviarie già esistenti ed interrati in corrispondenza della sede stradale o all’interno delle relative fasce di rispetto.

4. Il PTRS si attua attraverso i “Progetti di territorio” (amministrativamente il richiamo è agli Studi di fattibilità della Legge Merloni ter) i quali devono servire a calare nel territorio le grandi opere in un contesto di partecipazione pubblica tesa a limitarne il più possibile l’impatto ed a favorire processi locali di sviluppo. Nel Progetto di territorio, cioè, la fattibilità delle opere non viene limitata ai soli problemi di tracciato bensì va a ricomprendere, entro un contesto territoriale sufficientemente ampio, la conoscenza di tutti i requisiti tecnici, ambientali e territoriali adatti non solo ad ospitare il tracciato meno invasivo ma anche a prevedere tutte le opere che consentano la interconnessione tra le reti di diverso livello e di diversa funzionalità; la interconnessione con i nodi urbani e produttivi; la mitigazione o la integrazione con i sistemi agricoli e ambientali. Per questo motivo, questi “Progetti di territorio” devono essere svolti da Gruppi di Lavoro multidisciplinari e coordinati da Istituzioni di area vasta che possiedano la conoscenza dei sistemi ambientali, agricoli, insediativi e sociali dell’area.

In attesa di poter varare al riguardo una legge organica di governo del territorio, che l’attuale Giunta regionale ha più volte promesso, ispirata anche a corretti ed oggettivi rapporti partecipativi, vanno da subito utilizzati virtuosamente alcuni istituti introdotti dalla recente legge regionale anticrisi n. 64/09.

Nelle more di leggi organiche, si proceda quindi:
a) alla costruzione dell’Elenco di cui all’art. 5, punto 3. del capo II in modo che vi siano ricomprese tutte le opere cantierabili a breve termine (entro un anno).

b) avvio di processi di consultazione dei Comuni (Consigli Comunali) e delle Province (Consiglio Provinciale) interessate, nonché dei Comitati espressi dalla comunità, per tutte le categorie di opere che esulano dall’Elenco perché ancora non progettate: analisi completa delle ipotesi di progetto e delle ragioni dell'opera, acquisizione delle indicazioni espresse dai diversi enti e territori. Sulla base di questa ricognizione si decida quindi cosa può essere immediatamente cantierato e cosa invece deve andare a far parte delle procedure di pianificazione strategica del PTRS.

 c) all’impiego dell’Università del Friuli, in conformità con il suo stesso mandato istitutivo, come soggetto terzo, tra territorio ed Enti proponenti i progetti infrastrutturali, atto a garantire, erga omnes, la correttezza dei metodi di elaborazione delle strategie e di valutazione delle compatibilità ambientali.

8. Un Friuli dentro le strategie e non ai bordi di queste: la Consulta del “Progetto per il Friuli”



Il Friuli si sente, se non escluso, certamente emarginato e mortificato dalle grandi strategie che la Regione è andata componendo negli ultimi anni:

- la centralità della programmazione infrastrutturale regionale si è spostata, con l’appoggio del Ministero delle Infrastrutture, verso l’area Monfalconese-Triestina (il cosiddetto “Territorio snodo” della “Piattaforma strategica transnazionale est” contenuto nel Quadro Strategico Nazionale per la programmazione 2007-2013);

- le grandi previsioni strategiche come pure le incertezze legate alla fattibilità tecnica del Corridoio V sono oggi appese a due “miti” da sfatare perché del tutto inconsistenti: il passaggio per Trieste della “variante M” e la “piattaforma logistica” incentrata su Ronchi dei Legionari. Si tratta di due grandi “abbagli” che rischiamo di impedire la corretta programmazione e realizzazione del Corridoio V a vantaggio delle esigenze di tutta la regione (compresi i suoi porti, interporti e aeroporti regionali); l’assenza ingiustificata del Friuli dal confronto strategico su queste opere ha permesso che emergessero soluzioni tanto inconsistenti quanto dannose per tutta la regione.

- l’Università del Friuli è vista come partner di una indistinta “sinergia a regia regionale unica”, tra Università e centri di ricerca regionali, dove finirebbero per annullarsi le differenze e le vocazioni territoriali;

- la ricerca ed il trasferimento tecnologico, così come la Fiera dell’Innovazione di Udine, vengono depotenziati e ricondotti, anche qui, ad una “sinergia” che prevede che Udine porti a Trieste ciò che di buono Udine fa e costruisce ma senza che sia previsto alcun movimento in senso opposto.

Queste “sinergie” a senso unico, queste strategie che valorizzano solo certe centralità stanno diventando troppo numerose per essere solo casuali. Sembrano, piuttosto il segnale che una “coperta” sempre più stretta (le opportunità) viene tirata solo a vantaggio di alcune componenti regionali che, peraltro, non sono sempre né le più dinamiche né le più bisognose. Con esiti finali che possono danneggiare tutta la regione.

Il Friuli non ha la vocazione al vittimismo ma non ha neppure intenzione di lasciarsi emarginare dalle grandi strategie senza reagire. Vuole partecipare e contribuire al successo ed alla competitività dell’intera regione salvaguardando le sue proprie prerogative e qualità.

Il Friuli vuole, quindi, rientrare e contare nelle grandi strategie. La Comunità delle Province Friulane è una sede istituzionale da valorizzare in questo senso e dove queste problematiche devono essere portate per poi essere rilanciate nelle opportune sedi istituzionali.

Vi è una linea ormai largamente condivisa: la Regione faccia le leggi e l’alta programmazione, e poi trasferisca le competenze amministrative, i mezzi finanziari ed il personale necessari ad un sistema delle autonomie qualificato e responsabile: Comuni associati, Province, Comunità delle Province del Friuli. Per fare questo basta emanare le leggi attuative della L.r. 1 del 2006.

Ma anche nel fare le leggi e l’alta programmazione ci vuole innovazione. Ci vuole, soprattutto, capacità di governo delle diversità, ascolto ed attenzione verso le diverse componenti del territorio regionale soprattutto quando queste ne costituiscono la parte maggiore. Proprio a partire da questa fase di crisi, quindi, e dalle proposte che qui sono formulate, si chiede che vengano convocate ed ascoltate, dalla Regione, le rappresentanze dell’area friulana e della presente proposta di costruzione di un progetto per il Friuli, riunite in Consulta, per discutere assieme delle scelte programmatiche di fondo che la Regione dovrà assumere nei prossimi mesi ed anni.












Nessun commento:

Posta un commento